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LA FINE IN 10 MOSSE – Editoriale economico sul “DEFAULT”

Nel thriller DEFAULT il conto alla rovescia verso un “default strategico” dell’Occidente è una sottile linea tra finzione narrativa e verità nascosta. Da oggi somiglia a un executive summary: stessa tensione, stessi protagonisti: Stati Uniti che impugnano la leva doganale, Europa priva di scudi, BRICS che rastrellano materie prime e progettano un proprio circuito finanziario. Qui di seguito le dieci mosse che, viste con l’occhio dell’economista, mostrano perché l’UE rischia di finire marginale nella nuova guerra fredda globale.

1. Il colpo che apre la partita

L’11 luglio una lettera siglata Donald J. Trump annuncia un dazio lineare del 30% su ogni bene europeo in ingresso negli USA a partire dal 1° agosto. L’obiettivo dichiarato è “correggere l’enorme disavanzo commerciale”; il sottotesto è spingere la manifattura a rilocalizzare sul suolo statunitense grazie a fast-track autorizzativi; il sottotesto reale è dare una smossa all’Occidente, in primis l’Europa, totalmente inerte nella scacchiera geopolitica- economica.

2. Lo sbadiglio di Bruxelles

La Commissione replica con un comunicato scialbo che si limita a minacciare ricorso al WTO: non un piano d’emergenza, nessun elenco di contro-tariffe, nessuna cabina di regia fiscale per fabbriche in difficoltà, nessun mandato negoziale verso Africa o ASEAN. Gli esperti UE parlano di “relazione coercitiva mascherata da cortesia” senza mai affrontare il vero rischio: diventare una provincia cinese.

3. Il baricentro delle risorse si è spostato

Dopo l’allargamento del 2024 a Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Iran, Argentina e UAE, il blocco BRICS controlla 72% delle riserve mondiali di terre rare, 44% del petrolio prodotto, 36% del gas e quasi metà della popolazione mondiale. Non è semantica geo-politica: è leva strutturale sulle catene del valore occidentale, purtroppo sottovalutato dai vertici europei.

4. Il vero potere

  • Cina: 90% della capacità mondiale di raffinazione di terre rare necessarie per la nuova industrializzazione hi-tec, robotica, ecc.
  • Russia (Nornickel): 41% del palladio estratto, metallo chiave per automotive.
  • Sudafrica: 88% delle riserve di PGM – platino, assicurando un quasi-monopolio su rodio e iridio.
  • Brasile: nuovo Eldorado del Litio: roadmap di produzione a 57 500 t entro il 2025 con CAGR previsto 6% fino al 2035.

Ogni percentuale si traduce in potere di ricatto, leva finanziaria, priorità di consegna.

5. La nudità europea

L’UE importa il 100% delle terre rare pesanti dalla Cina e il 97 % del magnesio dal medesimo fornitore. Per il platino il 71% arriva dal Sudafrica; il cobalto resta ostaggio di Kinshasa, che ha prorogato il bando all’export di altri tre mesi. Se il semilavorato non esce dal Corridoio dell’Africa centrale, le gigafactory di batterie del continente restano a regime ridotto. Grafite anodi, gallio per i chip, uranio medicale: stesso copione, altri fornitori, identico rischio strategico.

L’Europa urla sussurri contro le azioni di Trump, ma tace e resta cieca alla totale sottomissione economica subita dal Brics.

6. Il cerotto CRMA

Il Critical Raw Materials Act europeo promette “miracoli” entro il 2030: 10% estrazione interna, 40% raffinazione, 25% riciclo, con una dipendenza che scenderebbe sotto il 65% da un singolo Paese. Ebben, i 47 progetti strategici sono ancora senza finanziamento firmato, con permessi ambientali arenati in iter pluriennali. Il moltiplicatore fiscale di queste miniere arriverà –- se tutto va bene –- a fine 2028, troppo tardi per i contratti automotive 2026-30. Nel frattempo, tra inapplicabili e inutili normative ecologiche con obblighi solo locali, gli impianti chiudono o delocalizzano proprio nei paesi che oltre a tutto ciò che usiamo in ogni minuto della nostra vita da occidentali incrinati, producono veleni e debito.

7. Washington riscopre la politica industriale

Il Pentagono compra 400 milioni di dollari in azioni preferenziali MP Materials, aggiunge anche un prestito da 150 milioni di dollari e garantisce un “floor price” di 110 $/kg per NdPr. Non è social-capitalismo: è hard-security applicata alla supply chain. Anche gli USA temono lo squeeze cinese; la differenza è che agiscono prima che il rubinetto si chiuda. E forse fanno bene, al di là dei modi poco “eleganti” del loro ciuffoso presidente.

8. La finanza come campo di battaglia

A Rio i leader varano BRICS Pay –- un circuito cross-border in valute locali per arginare SWIFT e dollaro. Un’operazione di de-dollarizzazione che odora di “colpo di grazia” all’Occidente. Mosca già fattura 90% del commercio intra-blocco fuori dal dollaro. Se il progetto decolla, le sanzioni finanziarie occidentali perdono gran parte della loro deterrenza e il costo di raccolta capitali per i Paesi BRICS scende sotto i benchmark europei. Come dire: la nuova cortina di ferro non passa più tra Berlino e Varsavia, ma tra chi possiede il metallo critico e chi ne dipende.

9. Il termometro manifatturiero tedesco

Il PMI manifatturiero tedesco è risalito a 49,0 a giugno. Meno peggio del 42 del 2024 ma ancora sotto il punto di equilibrio 50: contrazione lieve, investimenti congelati, ordini esteri incerti. Il rischio-Paese si misura nella traiettoria, non nel dato puntuale: senza materie prime garantite, l’industria resta preda di stop-and-go. E sapete da chi dipende tutto? Tornate al punto 4 e iniziate a preoccuparvi.

10. Ultima chiamata prima del default strategico

Serve una strategia combinata, da adottare entro l’anno fiscale:

  1. Accordi bilaterali vincolanti con Australia, Canada, Cile per litio, grafite, nichel.
  2. Scorte strategiche europee di rare-earth ossidate e metalli-PGM, finanziate via Eurobond verde e gestite come le SPR petrolifere.
  3. Super-credito d’imposta (fino al 40 %) per fonderie e impianti chimici rilocalizzati nel Mercato Unico. Solo dopo aver accantonato, almeno per il momento, la folle corsa ecologia che puzza di fallimento.
  4. Tolleranza zero sui tempi autorizzativi: 18 mesi cancello-in-produzione, sul modello statunitense CHIPS Act.
  5. Narrativa politica esplicita: la sicurezza e la sopravvivenza economica e materiale vale quanto la stabilità climatica; senza la prima, la seconda resta utopia.

Epilogo economico–narrativo

Nel romanzo DEFAULT il protagonista vive col peso di un conto alla rovescia. Oggi quel countdown lampeggia sui monitor di Bruxelles: 23 giorni ai dazi, zero accordi firmati, zero tonnellate di neodimio estraibili sotto l’Elba.

Trump ha acceso la miccia. Il BRICS custodisce le chiavi della cantina dove riposano litio, platino e neodimio. L’Europa possiede ancora conoscenza, design, laboratori. Tuttavia, la conoscenza senza minerali resta inerte; la progettazione senza fonderie è lettera morta.

La storia scorre più veloce dei comunicati stampa. Chi rimane immobile diventa spettatore, poi complice. L’acciaio conta ancora. E le dieci mosse sono le sole che l’Europa può giocare: alzarsi dal tavolo della lamentela, impugnare il pick-hammer, tornare produttore. Altrimenti, come nelle pagine di DEFAULT, il finale sarà scritto altrove, e sarà un default strategico, prima ancora che finanziario.

La politica industriale conta ancora. E il cronometro non aspetta.

 

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Europa: il Sogno Evaporato

Finzione e Verità

Geopolitica, Economia, Unione Europea, Crisi Internazionale, Analisi Politica

25/08/2025

Mario Draghi al Meeting di Rimini, il 22 agosto 2025, ha distrutto l’illusione europeista. “Per anni l’Unione Europea ha creduto che la dimensione economica […] portasse con sé potere geopolitico”, ma “sta evaporando l’illusione” ‑ “Il mondo in cui l’Europa ha prosperato… è finito”.

Dalle sabbie mobili della crisi ucraina al massacro di Gaza, l’Europa appare “spettatrice”; impotente, avrebbe potuto e dovuto contare sui mercati, ma oggi solo la forza militare e la potenza economica decidono ‑ e l’UE non ce l’ha .

Anche Draghi, europeista convinto, guru della moneta unica, paladino indefesso dell’unione europea, ha dovuto ammettere che la realtà propinata alla popolazione era pura finzione, un gioco, una verità distorta… tutti noi, cittadini d’Europa, solo burattini legati ai fili della finanza.

Chi scrive, da economista, lo sostiene da tempo: il sogno europeo non è mai nato davvero. L’assenza di politica comunitaria, confinata alla mera economia monetaria dell’euro, ha sterilizzato ogni possibilità di proiezione geopolitica.

 

Diagnosi: l’agonia lenta e programmata

 

Rapporto Draghi (9 settembre 2024): un grido contenuto, ma devastante. L’Europa è ferma, con crescita impantanata e produttività in affanno rispetto a Stati Uniti e Cina.


    •    Servirebbero fino a 800 miliardi di euro all’anno, pari a 4,7–5% del PIL UE, per colmare il divario, modernizzare, garantirsi sovranità economica e difesa .
    •    Senza tali misure, l’UE è condannata a una “agonia lenta” .

 

Il rapporto individuava tre priorità strategiche:
    1.    Innovazione e produttività: recuperare terreno rispetto a USA e Cina.
    2.    Decarbonizzazione competitiva: ambiziosa ma senza rinunciare all’industria.
    3.    Sicurezza e autonomia: energia, materie prime, difesa integrata.

 

Il problema? Sempre lo stesso: La politica europea è incapace di unirsi su una strategia condivisa. Germania e Danimarca si oppongono all’idea di debito comune; la sovranità fiscale resta ostaggio dei costi politici . Il risultato? Lo stallo su tutto.

 

Europa spezzata vs BRICS coesa

 

Ecco la battaglia. Da un lato, l’Occidente europeo, affossato da:


    •    Fragilità politica: leadership nazionali deboli, governi distratti, frammentazione.
    •    Tecnocrazia più che sospetta: la Commissione appare forte, ma non lo è affatto, e il deficit di democrazia alimenta scetticismo e incertezza.
    •    Vecchi vincoli: regole fiscali, austerità, burocrazia, mancanza di scala , politiche green senza alcuna programmazione.

 

Dall’altro, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), uniti e potenti, ricchi di materie prime strategiche – metalli, terre rare – pronti a proiettarsi in un mondo dove l’energia e la tecnologia valgono più dell’ideologia. Il loro vantaggio: coesione, autonomia e forte leva sulle risorse naturali.

 

Dal letargo alla reazione: il piano draghiano e i limiti UE

 

Draghi ha chiesto un’Europa-organo unico, capace di:


    •    Guidare investimenti su scala continentale;
    •    Coordinare la politica industriale, superando la divisione tra Stati membri;
    •    Proteggere la catena produttiva, garantire accesso a materie prime critiche;
    •    Finanziare la vera transizione verde non ideologica, difesa, digitalizzazione.

 

Tuttavia, l’obiettivo politico sembra impossibile finché prevalgono rivalità nazionali, resistenze ai debiti comuni, e nazioni faro, come Germania e Francia, prive di slancio. Paradossalmente, le uniche nazioni che sembrano interessate allo slancio sono Italia, Spagna e Ungheria.

 

Conclusione

 

Il futuro si disegna in queste poche frasi: occidente frammentato e paralizzato, BRICS coesi e in ascesa. Saprà l’Europa trasformarsi in tempo? Sarà questa la sua ultima battaglia?
In Default, il mio thriller geopolitico, estremizzo fino all’apocalisse questa guerra a colpi di debito e finanza. Come finirà? In realtà, ho previsto tanti eventi, ma la fine… la fine dovrete scoprirla alla fine del libro e lì, proprio alle ultime pagine, vi chiederete: finzione o realtà?